“Giovedì, alle ore 12:00, accenderò uno spinello davanti a Palazzo Marino per sostenere la legge che consente la coltivazione di cannabis in casa per uso personale e contro la follia di chi chiede il test del capello ai rappresentanti istituzionali.”

“Seguirà una conferenza stampa con il Capogruppo PD, Filippo Barberis e Giulia Crivelli, Tesoriera di Radicali Italiani. Sottraiamo i fondi alle mafie e permettiamo a chi vuole di coltivarsela privatamente.”

Così parlava mercoledì il consigliere del comune di Milano Daniele Nahum.

Promessa mantenuta.

Ha acceso una «canna» davanti a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, per sostenere la legge che consente la coltivazione di cannabis in casa per uso personale. Il consigliere ha portato lo spinello già preparato e pronto per essere acceso. «Sono 16 mila le persone in carcere per reati legati alla cannabis e la criminalità organizzata su questa sostanza ha un giro di affari di 7 miliardi — ha spiegato —. Sono qui contro il proibizionismo che riempie le galere e aiuta le mafie».

Il consigliere milanese ha chiesto al suo partito e al segretario Enrico Letta «più coraggio» su questo tema. E a Matteo Salvini, leader della Lega che nei giorni scorsi aveva criticato il suo gesto in un post, ha replicato: «Anziché condannare la strage di Bucha e Putin pensa al mio gesto, ma tanti elettori del centrodestra sono favorevoli alla depenalizzazione». Nahum ha annunciato che a giugno promuoverà a Milano gli Stati Generali della cannabis per dibattere sul tema con esperti e associazioni.

«Siamo qui anche per chiedere al sindaco Giuseppe Sala e alla giunta di aprire, partendo da questa città, un dibattito pubblico sulla legalizzazione della cannabis», ha detto Giulia Crivellini dei Radicali italiani. «Come Consiglio comunale, dopo la censura da parte della Corte costituzionale, abbiamo voluto far prendere alla città una posizione chiara sul tema della legalizzazione della cannabis e sul fine vita — ha concluso il capogruppo pd Filippo Barberis —. Il messaggio è chiaro: anche se non ci saranno referendum, serve che il Parlamento legiferi».

 

Milano 07-04-2022

Finalmente giustizia è fatta per Stefano Cucchi. I Carabinieri che lo hanno pestato fino ad ammazzarlo sono stati condannati in via definitiva a 12 anni. Un risultato che attendevamo da tempo. Anch’io mi ero espressa in Aula con un intervento per chiarire questa incresciosa vicenda e tutti gli altri episodi simili.

In questi anni c’è stato qualcuno, anche fra gli esponenti politici, che su Stefano e la sua famiglia ha detto le peggiori nefandezze. La vergogna di una politica sacrilega, che calpesta i diritti e l’onore dei cittadini pur di difendere un’ideologia che ha evidentemente delle falle.

È altro che va difeso, in primo luogo Giustizia e Verità.

Caterina Licatini

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Dolce Vita Magazine:

13 anni dopo e un numero impressionante di udienze, accuse infamanti, perizie, testimonianze e sentenze nei vari gradi della giustizia, la Cassazione ha scritto il capitolo conclusivo di questa storia che ricalca proprio quel nostro primo titolo.

Alessio di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri che nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 picchiarono selvaggiamente Stefano Cucchi causandogli lesioni fatali, sono stati condannati in via definitiva a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale.

«Dedichiamo questa sentenza definitiva ai vari Tonelli, Salvini e a tutti gli altri iper garantisti che per un decennio hanno sostenuto che Stefano Cucchi era morto di suo, era morto per colpa propria» ha dichiarato l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo.

 

 

Senza possibilità di smentita, ora possiamo dire che Stefano non è morto perché “caduto dalle scale”. Non è morto nemmeno perché “tossicodipendente”. Non è morto tantomeno “perché magro, anoressico”.

«Ora possiamo dire che è stato ucciso di botte e che giustizia è stata fatta nei confronti di coloro che l’hanno portato via». Alla sorella Ilaria, che ha commentato a caldo la sentenza in questo modo, va il riconoscimento di non aver mai ceduto nella ricerca della verità e di aver così restituito dignità a tutte le altre vittime della divisa a cui giustizia è ancora negata, vittime di uno stato che non solo non ne ha saputo garantire l’incolumità ma in prima persona si è macchiato le mani col loro sangue.

Nonostante i severi vincoli alla coltivazione delle piante, il Regno Unito è ora il secondo mercato più grande al mondo: spinto dalla pandemia, il mercato dei prodotti CBD – che dovrebbero migliorare il benessere – è ora in piena espansione nel Regno Unito.

“C’è stato un vero cambiamento nell’opinione”, afferma Joe Oliver, co-fondatore e capo di LDN CBD, intervistato dall’AFP. Come una miriade di aziende, il suo marchio di prodotti CBD ha intrapreso l’avventura nel 2018 a Londra e ora pianifica una campagna di finanziamento partecipativo.


“Dalle testimonianze e dai feedback che stiamo ricevendo, ciò avvantaggia principalmente le persone che hanno a che fare con esperienze traumatiche, malattie croniche o ambienti ad alto stress”, come medici, polizia, vigili del fuoco o veterani, secondo Oliver. Il CBD può essere trovato in note aziende nel Regno Unito come la catena di farmacie Boots o la catena di prodotti naturali Holland & Barrett.

Si prevede che l’industria dei prodotti CBD genererà vendite di 690 milioni di sterline nel Regno Unito nel 2021, secondo l’associazione di settore ACI (Association for the Cannabinoid Industry). E potrebbero raggiungere 1 miliardo di sterline (1,3 miliardi di franchi) nel 2025 secondo la società di consulenza britannica Savills.

Per i prodotti CBD, destinati al grande pubblico, il Regno Unito è “diventato il secondo mercato più grande del mondo”, afferma Steve Moore, co-fondatore dell’ICA in un rapporto pubblicato a maggio, riferendosi alla “rivoluzione silenziosa” di cannabis.

Più di recente, “la pandemia ha aumentato la domanda con stress, problemi di sonno, ansia”, spiega Steve Moore. Il Regno Unito ha recentemente introdotto un quadro normativo per rassicurare i clienti sulla qualità dei prodotti CBD. Finora, alcuni oli venduti sul mercato non avevano tracce di CBD o contenevano invece THC.

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L’ennesima conferma che la legalizzazione della cannabis non aumenta il consumo giovanile

Un importante rapporto sul consumo di cannabis in età giovanile rivela che le leggi che sono state implementate per legalizzare la marijuana non aumentano il consumo di cannabis tra gli adolescenti.

Un recente documento programmatico della coalizione statunitense per la Cannabis Policy, Education And Regulation (CPEAR) ha stabilito che la legalizzazione della cannabis non corrisponde ad un aumento del consumo della stessa da parte dei giovani. Il rapporto del gruppo no-profit, che peraltro è stato supportato da aziende leader nei settori dell’alcol e del tabacco, delinea anche le strategie che i responsabili politici possono attuare per prevenire l’uso e l’abuso giovanile di marijuana.

Il report, intitolato “Affrontare i giovani e la cannabis: soluzioni per combattere e prevenire l’abuso giovanile attraverso un sistema di regolamentazione federale”, afferma che numerosi studi hanno rivelato che l’uso di cannabis in età giovanile diminuisce o rimane stabile nei mercati in cui la cannabis è regolamentata: i dati analizzati non hanno infatti mostrato alcun aumento nell’uso di cannabis.

In pratica, il rapporto afferma che la legalizzazione statale della cannabis non ha coinciso con un maggior consumo della stessa tra gli adolescenti, ovvero che gli Stati con leggi che hanno reso legale l’uso terapeutico e/o ricreativo per adulti della marijuana, non stanno vedendo un aumento dell’uso da parte degli adolescenti rispetto agli Stati in cui il suo utilizzo rimane illegale.

CONSUMO GIOVANILE, MERCATO NERO E RIDUZIONE DEL DANNO

Contemporaneamente il documento del CPEAR evidenzia una riduzione del mercato illegale e un effetto complessivo di diminuzione dei danni associati all’uso giovanile di cannabis. Mette inoltre in luce il fatto che la cannabis acquistata illegalmente ha maggiori probabilità di contenere contaminanti e altre sostanze illecite rispetto ai prodotti disponibili in un mercato regolamentato. Pertanto, una maggiore vigilanza sulle vendite legali di prodotti basati sulla marijuana può contribuire alla riduzione dei rischi di danni per i giovani legati all’uso di cannabis.

Non bisogna inoltre dimenticare che i risultati del rapporto CPEAR sono coerenti con quelli di uno studio pubblicato nel 2021 da ricercatori affiliati alla John Hopkins University, alla Harvard University e alla Massachusetts Cannabis Control Commission.

In un comunicato stampa dell’Organizzazione nazionale per la riforma delle leggi sulla marijuana (NORML), Paul Armentano, vicedirettore del gruppo, ha affermato: “Questi risultati dovrebbero rassicurare i politici e non solo che l’esperienza nel mondo reale degli Stati in cui la cannabis è regolamentata è un successo, sia dal punto di vista della salute pubblica che della sicurezza”.

Articolo a cura di Veronica Tarozzi

di Dolce Vita Magazine

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Palazzo Marino ha approvato, anche con alcuni voti dell’opposizione, un ordine del giorno per chiedere al Parlamento di approvare una legge che legalizzi la produzione e il consumo di cannabis e dei suoi derivati.

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Il Consiglio comunale di Milano ha approvato ieri un ordine del giorno per la legalizzazione della cannabis. Il provvedimento ha come primo firmatario il consigliere e capogruppo del Partito democratico Filippo Barberis, che lo scorso 17 febbraio aveva espresso “grande delusione” per la bocciatura del referendum sulla legalizzazione della cannabis chiedendo che “il Partito Democratico si assumesse la responsabilità di un’iniziativa politica e parlamentare che non lasci cadere nel vuoto due quesiti diversi ma molto sentiti, come hanno certificato in modo inequivocabile le moltissime firme raccolte” e preannunciando che a Palazzo Marino avrebbe fatto sentire la propria voce su questo tema.

 

 

L’approvazione dell’ordine del giorno ha solo un valore “simbolico”: impegna la giunta guidata da Beppe Sala a chiedere al Parlamento “di approvare subito una legge che legalizzi la produzione e il consumo di cannabis e dei suoi derivati”, come ha spiegato il consigliere dei Verdi Carlo Monguzzi, tra coloro che hanno votato l’ordine del giorno. Contraria la Lega, che con la consigliera Deborah Giovanati è arrivata a chiedere ai colleghi consiglieri di fare il test sul capello.

 

Tra coloro che hanno votato a favore anche il capogruppo di Forza Italia De Chirico

 

Ma anche tra l’opposizione c’è stato chi ha votato a favore dell’ordine del giorno, come il capogruppo di Forza Italia Alessandro De Chirico che ha però spiegato di essersi espresso “a titolo personale, e senza condivisione né con il gruppo consiliare né con il mio partito” e ha precisato di non condividere il fatto di aver messo sullo stesso piano il consumo di marijuana per scopi ludici e quello per fini terapeutici: “Per questo ho chiesto di aggiungere che gli introiti derivanti dalla legalizzazione vengano reinvestiti in politiche di formazione, prevenzione e riduzione del danno – ha aggiunto De Chirico in una nota -. È ora di smetterla di alimentare il mercato nero e le mafie che si arricchiscono e diventano sempre più potenti vendendo roba tagliata con polvere di vetro o agenti chimici e che danneggiano tanti ragazzi sprovveduti. È ora di smetterla con il bigottismo di Stato che sotto l’egida del monopolio vende le sigarette che sono un veleno conclamato e super alcolici che causano danni irreparabili alla salute di giovani e non”.

 

Promuovere un’adeguata formazione sull’utilizzo dei farmaci cannabinoidi per finalità terapeutiche da parte del personale dipendente o convenzionato del sistema sanitario regionale. Questo l’obiettivo della legge approvata in aula all’unanimità, illustrata dal presidente della commissione sanità Enrico Sostegni (Pd) e nata su proposta del consigliere Iacopo Melio (Pd).  “L’atto – spiega Sostegni – nasce da una precisa volontà di agevolare la conoscenza dell’uso dei farmaci cannabinoidi, introduce una norma sulla formazione continua del personale sanitario” e modifica la legge regionale 18 del 2012.

Si dispone che la Commissione regionale per la formazione sanitaria possa formulare proposte dirette a promuovere l’inserimento della materia nella programmazione della formazione continua regionale, di area vasta e aziendale. Un altro tema evidenziato, come sottolineato da Sostegni, è quello “della produzione della sostanza stessa che è stata introdotta con la mozione del consigliere Melio”.

Andrea Ulmi ha espresso con convinzione il voto favorevole della Lega sia alla proposta di legge che alla mozione. “Dal punto di vista politico  – ha detto – è una battaglia giusta e di civiltà, dal punto di vista medico è una sorta di nuova frontiera che stiamo raggiungendo”, “questa terapia deve essere messa nella disponibilità del bagaglio culturale medico ed è importante che venga conosciuta  in modo adeguato”.

“Naturalmente – ha aggiunto – avendo a disposizione le forniture necessarie, non deve essere un farmaco che si trova con difficoltà ma che utilizzato dalle mani esperte e dalle teste ben conoscenti l’argomento, deve essere impiegato in tutte quelle sfaccettature positive a livello di sanità”.

Secondo Iacopo Melio (Pd), “questa proposta di legge nasce per le persone che combattono malattie devastanti, degenerative o croniche e che necessitano di farmaci salvavita dei quali non si ha, purtroppo, una sufficiente disponibilità, perché quella quota spesso non viene fornita per una barriera culturale. La Toscana, con lo stabilimento chimico farmaceutico militare dimostra di essere  la regione più avanzata sul fronte della cannabis terapeutica ma non tutti i medici sono propensi a prescriverla”.

Melio sostiene la necessità  di “superare le resistenze dal punto di vista medico scientifico”. Il consigliere spiega che collegata alla proposta di legge c’è una mozione, della quale è primo firmatario, sull’aumento della produzione interna di cannabis per uso terapeutico in Italia “perchè – aggiunge- quella che la Toscana riesce a produrre, anche se aumentata negli ultimi anni, resta comunque insufficiente a coprire l’intera domanda”. La mozione impegna la Giunta ad attivarsi, nei confronti del ministero competente, al fine di adottare “misure finalizzate all’implementazione della produzione della cannabis terapeutica attraverso il potenziamento dei luoghi già autorizzati, e in particolare dello stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, nonché valutando di attivare nuovi poli produttivi, in modo da garantire una maggiore copertura del fabbisogno interno”.

 

 

Con questo atto conclude Melio “si vogliono evitare due fenomeni: l’importazione dall’estero del medicinale con costi altissimi e meno guadagni e il ricorso al mercato nero da parte dei pazienti , finanziando la criminalità organizzata e l’evasione fiscale, oltre a non conoscere la qualità del prodotto”. Anche Diego Petrucci di FdI ha espresso voto favorevole, ribadendo che “questo tema non ha niente a che vedere con la liberalizzazione delle droghe leggere; si parla di cannabis medica. “E’ una battaglia culturale – afferma – perché molti medici non sono a conoscenza dei vantaggi della somministrazione della cannabis medica e questa proposta va nella direzione di accorciare questo gap, di consentire una formazione adeguata in merito”.

“Si tratta di una conquista di civiltà, è uno dei pochi interventi medici che può alleviare le sofferenze di alcuni pazienti”. Riguardo alla mozione, il consigliere aggiunge “la grave carenza della disponibilità della cannabis medica costringe i parenti dei pazienti ad incolonnarsi in fila di fronte alle farmacie ospedaliere nella speranza di poterla ottenere, solo perchè la produzione non è sufficiente”.

“E’ importante che la nostra regione mantenga in questo campo il ruolo di avanguardia per fare un buon servizio a tanti ammalati che potranno avere una qualità di vita superiore”. Maurizio Sguanci ha espresso voto favorevole  di Italia Viva. I prodotti derivati dalla cannabis – ha detto – danno giovamento a molte persone affette da malattie neurologiche, da sclerosi multipla, da sola, alzahimer, malattie oncologiche per la terapia del dolore”.

Sguanci si è detto favorevole non solo nella formazione del personale medico ma anche del “personale dedicato alla sintetizzazione del prodotto” ricordando che “in questo momento solo la farmacia di Santa Maria Novella di Firenze fa fronte a tutta l’area fiorentina, pratese, pistoiese fino a Lucca” e “sintetizza non solo in pasticche ma in olio perché è in olio che il prodotto dà il massimo beneficio”. Irene Galletti (M5S) ha ribadito: “Non solo sosteniamo ma riteniamo che l’uso della cannabis per uso terapeutico debba diventare una risorsa sempre più in uso nel sistema sanitario toscano”.

Non si tratta solo di un’opzione terapeutica” ma “può cambiare la vita delle persone, ecco perché non devono essere fatti riferimenti ideologici di alcun genere”. “Qui si parla – ha concluso – di formare nuove generazioni di medici all’utilizzo appropriato e anche in sostituzione di terapie farmacologiche che presentano alcuni limiti banche per le caratteristiche dei pazienti”. Galletti ha ricordato l’emendamento presentato e accolto che “va ad incidere sulla possibilità dell’utilizzo di cannabis a scopi terapeutico da parte di privati”.

di gonews.it

ECCO IL TITOLO DELL’ARTICOLO DE “IL FATTO QUOTIDIANO”

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– ARTICOLO COMPLETO –

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Come al solito i professionisti dell’informazione hanno creato un articolo poco chiaro dal titolo totalmente terroristico verso l’argomento. Affermare che la Cannabis è una sostanza dannosa è completamente FALSO! La Cannabis ha i suoi piccoli lati negativi, in abuso, nell’essere fumata (fumare in se fa sempre male) ecc. Ma dispone per lo più di proprietà benefiche.

Ed è sempre questo ad infastidirci, la poca chiarezza e il terrorismo inutile che si crea spesso attorno a questa pianta che, ripetiamo è soprattutto ricca di proprietà benefiche per il benessere salutare delle persone.

VI PROPONIAMO ALCUNI ARTICOLI A RIGUARDO, MOLTO CHIARI E TRASPARENTI, DOVE SI VALUTANO BENEFICI E NON DELLA CANNABIS IN MODO IMPARZIALE.

 

📌Fumare cannabis durante l’adolescenza non modifica la struttura del cervello

📌Cannabis: anche in piccole dosi può avere un impatto sul cervello degli adolescenti

📌L’alcol, ma non la cannabis, riduce le pareti di controllo del cervello

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CREDIAMO NELL’INFORMAZIONE LIBERA ED IMPARZIALE 

“Solo la nostra realtà, Salute di Canapa, in tre anni e mezzo ha portato benessere salutare a oltre 1200 persone sofferenti di varie patologie o fastidi.”

“Spesso le persone ci raggiungono su consiglio medico e questo ci inorgoglisce molto.”

“Credo sia poco serio e trasparente dichiarare che la Cannabis è una sostanza dannosa, senza entrare nello specifico.”

“Chi non conosce la Cannabis dovrebbe studiare prima di parlare.”

Roberto D’Aponte

Fondatore di Salute di Canapa

 

I termini criptovaluta e blockchain vengono spesso usati in modo intercambiabile, ma in realtà è molto importante capire le differenze tra loro.
La Blockchain è una tecnologia decentralizzata e crittografata che permette l’esistenza di criptovalute e token, mentre la criptovaluta è un mezzo commerciale (come gli euro) che utilizza la tecnologia blockchain per stabilire unità monetarie e verificare le transazioni.
La criptovaluta ha la capacità di aiutare le aziende di cannabis a superare le numerose sfide del settore finanziario odierno poichè continuano ad essere vittime dei pregiudizi di banche, società di carte di credito ed altri fornitori di servizi finanziari.
Negli USA, ospitando un’industria della cannabis legale multimiliardaria, le società di cannabis che operano in condizioni di assoluta legalità negli Stati legali sono ancora costrette ad usare “solo contanti”. Le banche statunitensi, le quali sono soggette alla legge federale statunitense si rifiutano di gestire denaro proveniente da società di cannabis legale per paura di essere perseguite per riciclaggio di denaro. Ovviamente, non ci vuole molto per comprendere le complicazioni di sicurezza derivate dal costringere un’industria da miliardi di dollari a rimanere senza banca.
Anche in Europa, le aziende di cannabis legittime continuano a lottare contro il pregiudizio dei fornitori di servizi di pagamento che si rifiutano di riconoscere la legittimità del settore.
Le criptovalute non solo permettono alle aziende di cannabis di gestire in modo sicuro i pagamenti, ma permettono loro anche di ridurre le commissioni bancarie/servizio e di operare senza essere sorvegliati da organismi di controllo di terze parti.
Le criptovalute permettono alle società di cannabis di godere delle stesse libertà di qualsiasi altra attività. Un’altra area rilevante per la cannabis è l’archiviazione di dati sensibili relativi agli studi clinici. La blockchain potrebbe rivoluzionare le catene di approvvigionamento nell’industria della cannabis. E forse, una delle maggiori preoccupazioni per i consumatori di cannabis che la acquistano è (ad esempio) potersi fidare della qualità.

La star del basket Usa Brittney Griner è stata arrestata in Russia prima del confitto, anche se è una mossa che ora rischia di alimentare le tensioni internazionali. L’accusa è quella di traffico di stupefacenti: nei suoi bagagli sarebbe stato trovato un vaporizzatore con un non meglio precisato olio di cannabis.

La cestista è stata arrestata a fine febbraio, e ora rischia di rimanere in prigione a lungo, almeno fino alla fine del processo, rischiando una pena che va dai 5 ai 10 anni di detenzione.

BRITNNEY GRINER ARRESTATA IN RUSSIA PER LA CANNABIS

Il comunicato ufficiale rilasciato dalla Russia dice: “Una cittadina statunitense è stata fermata ai controlli dell’aeroporto Sheremetyevo di Mosca, dopo l’ispezione effettuata grazie a un cane che aveva rilevato eventuali presenze di narcotico all’interno della borsa: dai controlli è stata rinvenuta la presenza di sostanze derivanti dalla cannabis”.

La Griner, 31enne, oltre ad essere un’attivista Lgbt, è una delle campionesse più titolate di sempre, con anche due ori olimpici nel suo palmares. Come molte altre giocatrici stava prendendo parte alla Eurolega durante la off-season, volando da New York a Mosca, nonostante l’invito delle autorità americane ai propri concittadini di lasciare il Paese.

Non è chiaro che tipo di olio di cannabis sia stato sequestrato all’atleta, ad ogni modo vale la pena ricordare che il CBD non è considerato una sostanza dopante da parte della World Anti-Doping Agency (WADA) e per questo motivo spesso gli sportivi assumono il CBD per migliorare le loro performance sportive e i tempi di recupero dopo l’allenamento o la gara.

 

di Dolce Vita Magazine

Giovanni Spitale, 34 anni di Castelfranco, lavora all’Istituto di etica biomedica a Zurigo. «Lavoriamo a un approccio filosofico, lo abbiamo fatto anche per il Covid

 

Dall’etica delle donazioni anatomiche, alle scelte etiche della medicina in tempo di Covid, alle motivazioni dei no Green pass per arrivare al progetto di un mercato legalizzato della cannabis. E’ questo il lavoro di Giovanni Spitale, 34enne ricercatore italiano che lavora per l’Istituto di etica biomedica (Ibme) dell’università di Zurigo. Spitale che di sé dice: “Sono nato a Castelfranco Veneto, sono cresciuto in provincia di Vicenza e ora sono un giramondo”. È uno dei tanti “cervelli in fuga” chiamati all’estero a portare avanti ricerche e studi.

Com’è arrivato a Zurigo?
“Sono laureato in scienze filosofiche e specializzato in etica delle donazioni anatomiche. Nel 2017 mentre insegnavo in una scuola superiore mi sono arrivate due proposte: il tempo indeterminato come insegnante o tre mesi come assistente di ricerca in Germania. Ho scelto la seconda. Dopo un breve periodo in cui mi sono occupato di etica medica e fine vita, mi sono trasferito a Zurigo dove ho ricevuto dall’Ufficio federale della salute (il corrispettivo del nostro ministero della Salute, ndr) la proposta di riformare il sistema delle donazioni. Una proposta che, spiace dirlo, alla mia età non avrei mai avuto in Italia dove sono considerato praticamente un ragazzino”.

Lei ha lavorato per l’Ufficio federale anche su tematiche legate al Covid?
“Abbiamo applicato la nostra esperienza e il nostro metodo a nuovi temi. Ad esempio all’inizio, su quali criteri adottare nella distribuzione delle mascherine e in seguito dei vaccini, e su come stabilire le priorità di assegnazione per i letti in terapia intensiva. Lavoriamo con un approccio filosofico ma non empirico, che prevede quindi il contatto con il soggetto della ricerca. Abbiamo quindi intervistato i malati e dalla loro esperienza sono nati protocolli di cura”.

Sempre in tema Covid, si è occupato anche di Green pass?
“Insieme a due colleghi ci siamo chiesti come mai in Italia ci fossero così tante resistenze e abbiamo deciso di fare uno studio sulle opinioni dei gruppi Telegram no Green pass in Italia. Analizzando il contenuto di queste chat, riteniamo che gran parte degli individui che si oppongono condividono opinioni antivacciniste. Ma i dubbi e le preoccupazioni sui vaccini non sono generalmente tra gli argomenti sollevati per opporsi. La discussione ruota invece intorno agli aspetti legali e alla definizione di libertà personale. Dal nostro studio deriva il suggerimento alle istituzioni sanitarie e politiche di fornire una spiegazione legale e un contesto per l’uso del Green pass, così come di continuare a concentrarsi sulla comunicazione sui vaccini per informare le persone antivacciniste”.

Attualmente lei è impegnato su un altro fronte, un tema molto caldo in Italia, dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sulla legalizzazione della cannabis.
“Per conto del governo federale, sto lavorando a un progetto pilota mirato alla regolamentazione di un mercato legale per la canapa in Svizzera. Il nostro obiettivo è studiare l’impatto psico-sociale per capire a che cosa porterebbe la legalizzazione della vendita della cannabis e la creazione di un mercato che consentirebbe di controllare il prodotto, il consumatore e gestire il rischio, Lo studio parte da una legge del 2021 che consente di rivedere le norme sugli stupefacenti con un approccio al tema che è completamente diverso da quello italiano. Il progetto si basa su alcune considerazioni: il fatto che già oggi in Svizzera vi è un 28% di consumatori, valore che secondo le stime dovrebbe raggiungere il 42% nel 2045. I crimini legati alla canapa (detenzione, spaccio, coltivazione, traffico) che sono il 51% del totale dei crimini legati alla droga in Ticino. E la riflessione su un mercato che pone rischi rilevanti in quanto la sostanza può essere contaminata da pesticidi o metalli pesanti dannosi per la salute. Regolamentare questo mercato significherebbe toglierlo alla criminalità e poterlo tassare per reinvestire il denaro in progetti di prevenzione”.

Come è strutturato lo studio?
“Abbiamo creato una rete tra pubblico e privato perché il progetto prevede l’apertura di negozi dove sarà possibile acquistarla a determinati clienti selezionati sulla base di vari criteri. Devono risiedere in Canton Ticino, essere maggiorenni in grado di intendere e volere, essere in buona salute e non presentare malattie cardiovascolari o episodi pregressi di psicosi. La vendita avverrà sulla base di quantità controllate e vi sarà un monitoraggio sulle condizioni di salute, le performance lavorative e sociali del soggetto”.

Si tratta di uno studio che va in controtendenza a quello che succede in Italia, lei cosa pensa del referendum bocciato il mese scorso?
“Ho una posizione critica, credo che certi temi non possano passare per un referendum perché si rischia di creare un buco normativo e liberalizzare la pratica non permette di costruire misure di salvaguardia adeguate. Inoltre non tiene in conto altri aspetti rilevanti, per esempio la tassazione e la possibilità di vincolare parte del gettito fiscale ad attività di prevenzione come accade per alcol e tabacco”.

Progetti per il futuro?
“Vorrei tornare in Italia, per fare ricerca. Ritengo di avere un debito con il mio Paese, ho studiato e mi sono formato in Italia e vorrei poter restituire il mio lavoro al Paese che ha investito sulla mia preparazione”.

 

Corriere del Veneto

 

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