Svizzera: il mercato legale della cannabis e il progetto pilota del ricercatore trevigiano

Giovanni Spitale, 34 anni di Castelfranco, lavora all’Istituto di etica biomedica a Zurigo. «Lavoriamo a un approccio filosofico, lo abbiamo fatto anche per il Covid

 

Dall’etica delle donazioni anatomiche, alle scelte etiche della medicina in tempo di Covid, alle motivazioni dei no Green pass per arrivare al progetto di un mercato legalizzato della cannabis. E’ questo il lavoro di Giovanni Spitale, 34enne ricercatore italiano che lavora per l’Istituto di etica biomedica (Ibme) dell’università di Zurigo. Spitale che di sé dice: “Sono nato a Castelfranco Veneto, sono cresciuto in provincia di Vicenza e ora sono un giramondo”. È uno dei tanti “cervelli in fuga” chiamati all’estero a portare avanti ricerche e studi.

Com’è arrivato a Zurigo?
“Sono laureato in scienze filosofiche e specializzato in etica delle donazioni anatomiche. Nel 2017 mentre insegnavo in una scuola superiore mi sono arrivate due proposte: il tempo indeterminato come insegnante o tre mesi come assistente di ricerca in Germania. Ho scelto la seconda. Dopo un breve periodo in cui mi sono occupato di etica medica e fine vita, mi sono trasferito a Zurigo dove ho ricevuto dall’Ufficio federale della salute (il corrispettivo del nostro ministero della Salute, ndr) la proposta di riformare il sistema delle donazioni. Una proposta che, spiace dirlo, alla mia età non avrei mai avuto in Italia dove sono considerato praticamente un ragazzino”.

Lei ha lavorato per l’Ufficio federale anche su tematiche legate al Covid?
“Abbiamo applicato la nostra esperienza e il nostro metodo a nuovi temi. Ad esempio all’inizio, su quali criteri adottare nella distribuzione delle mascherine e in seguito dei vaccini, e su come stabilire le priorità di assegnazione per i letti in terapia intensiva. Lavoriamo con un approccio filosofico ma non empirico, che prevede quindi il contatto con il soggetto della ricerca. Abbiamo quindi intervistato i malati e dalla loro esperienza sono nati protocolli di cura”.

Sempre in tema Covid, si è occupato anche di Green pass?
“Insieme a due colleghi ci siamo chiesti come mai in Italia ci fossero così tante resistenze e abbiamo deciso di fare uno studio sulle opinioni dei gruppi Telegram no Green pass in Italia. Analizzando il contenuto di queste chat, riteniamo che gran parte degli individui che si oppongono condividono opinioni antivacciniste. Ma i dubbi e le preoccupazioni sui vaccini non sono generalmente tra gli argomenti sollevati per opporsi. La discussione ruota invece intorno agli aspetti legali e alla definizione di libertà personale. Dal nostro studio deriva il suggerimento alle istituzioni sanitarie e politiche di fornire una spiegazione legale e un contesto per l’uso del Green pass, così come di continuare a concentrarsi sulla comunicazione sui vaccini per informare le persone antivacciniste”.

Attualmente lei è impegnato su un altro fronte, un tema molto caldo in Italia, dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sulla legalizzazione della cannabis.
“Per conto del governo federale, sto lavorando a un progetto pilota mirato alla regolamentazione di un mercato legale per la canapa in Svizzera. Il nostro obiettivo è studiare l’impatto psico-sociale per capire a che cosa porterebbe la legalizzazione della vendita della cannabis e la creazione di un mercato che consentirebbe di controllare il prodotto, il consumatore e gestire il rischio, Lo studio parte da una legge del 2021 che consente di rivedere le norme sugli stupefacenti con un approccio al tema che è completamente diverso da quello italiano. Il progetto si basa su alcune considerazioni: il fatto che già oggi in Svizzera vi è un 28% di consumatori, valore che secondo le stime dovrebbe raggiungere il 42% nel 2045. I crimini legati alla canapa (detenzione, spaccio, coltivazione, traffico) che sono il 51% del totale dei crimini legati alla droga in Ticino. E la riflessione su un mercato che pone rischi rilevanti in quanto la sostanza può essere contaminata da pesticidi o metalli pesanti dannosi per la salute. Regolamentare questo mercato significherebbe toglierlo alla criminalità e poterlo tassare per reinvestire il denaro in progetti di prevenzione”.

Come è strutturato lo studio?
“Abbiamo creato una rete tra pubblico e privato perché il progetto prevede l’apertura di negozi dove sarà possibile acquistarla a determinati clienti selezionati sulla base di vari criteri. Devono risiedere in Canton Ticino, essere maggiorenni in grado di intendere e volere, essere in buona salute e non presentare malattie cardiovascolari o episodi pregressi di psicosi. La vendita avverrà sulla base di quantità controllate e vi sarà un monitoraggio sulle condizioni di salute, le performance lavorative e sociali del soggetto”.

Si tratta di uno studio che va in controtendenza a quello che succede in Italia, lei cosa pensa del referendum bocciato il mese scorso?
“Ho una posizione critica, credo che certi temi non possano passare per un referendum perché si rischia di creare un buco normativo e liberalizzare la pratica non permette di costruire misure di salvaguardia adeguate. Inoltre non tiene in conto altri aspetti rilevanti, per esempio la tassazione e la possibilità di vincolare parte del gettito fiscale ad attività di prevenzione come accade per alcol e tabacco”.

Progetti per il futuro?
“Vorrei tornare in Italia, per fare ricerca. Ritengo di avere un debito con il mio Paese, ho studiato e mi sono formato in Italia e vorrei poter restituire il mio lavoro al Paese che ha investito sulla mia preparazione”.

 

Corriere del Veneto

 

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