Riportiamo l’articolo di Dolce Vita Magazine (link in fondo)

New York

Tutti i cittadini dello stato di New York che sono stati arrestati per possesso di piccole quantità cannabis, avranno la possibilità di cancellare completamente i precedenti penali relativi alla propria condanna, senza lasciare nessuna traccia.

Nonostante nello stato la cannabis non sia ancora stata legalizzata dal punto di vista ricreativo, nel 2019 è stata approvata una legge che depenalizzata il possesso di cannabis, riducendo la pena a una semplice multa invece che al carcere. La legge, con effetto retroattivo, ha ripulito automaticamente la fedina penale di chi era stato arrestato per possesso di cannabis tra il 1977 e il 2019.

E così dalla scorsa estate i tribunali statali hanno cancellato circa 150mila condanne. Il problema di fondo restava il fatto che con questo processo i documenti non venissero distrutti, ma sigillati, rendendoli impossibili da consultare se non per i funzionari competenti.

E così nei giorni scorsi è stata lanciata una nuova iniziativa, che permetterà la distruzione definitiva del casellario giudiziale. La differenza sta nel fatto che il procedimento non partirà in automatico, ma dovrà essere richiesto dal cittadino.

“Se decidete di richiedere la distruzione, i documenti relativi all’arresto, all’accusa e alla storia criminale relativi alla vostra condanna saranno distrutti, e non ci sarà alcuna registrazione del vostro arresto o della vostra condanna per queste accuse”, spiega il sito ufficiale del sistema giudiziario. “In altre parole, sarà come se non fosse mai successo“.

E una soluzione simile potrebbe essere adottata anche in Michigan, dove la cannabis è stata legalizzata anche per uso ricreativo nel 2018. Attualmente sulla scrivania del governatore Gretchen Whitmer ci sono 6 diverse proposte di legge che vanno in questa direzione, e che potrebbero cambiare la vita di migliaia di cittadini dello stato.

https://www.dolcevitaonline.it/lo-stato-di-new-york-permettera-ai-cittadini-di-distruggere-i-casellari-giudiziali-legati-alla-cannabis/

Articolo di Dolce Vita Magazine (link in fondo).

Censura e conflitto di interessi: i virus del giornalismo italiano.

Nella classifica mondiale 2020 sulla libertà di stampa l’Italia è al 41° posto. Davanti a noi, tra gli altri, Ghana, Sud Africa, Burkina Faso e Botswana. Tra i parametri che Reporters Sans Frontières prende in considerazione ai fini della graduatoria – oltre a quelli diretti e violenti come le minacce, le incarcerazioni o le violenze contro i giornalisti – vi sono anche meccanismi di censura più sottili e indiretti, ma comunque efficaci. Come quello dell’autocensura: si tratta dei casi in cui i giornalisti non scrivono determinati fatti per non contraddire la linea editoriale del proprio giornale o per paura di ritorsioni lavorative. Sui media non passa giorno nel quale non si parli dell’allarme fake news. Tuttavia la libertà dell’informazione è messa in discussione anche da altri fattori, primo tra tutti il conflitto di interessi. Il tema è completamente scomparso, come se il declino politico e anagrafico di Silvio Berlusconi lo avesse risolto di colpo. Invece il mondo dell’informazione italiana, mai come oggi, è in mano ad una oligarchia di pochi grandi gruppi.

Il 23 aprile 2020 il presidente di Fiat Chrysler, John Elkann, ha rilevato il controllo della società editoriale Gedi. Si è completato così un gruppo che possiede una concentrazione mediatica senza precedenti. L’erede della famiglia Agnelli gestisce ora 17 quotidiani, 10 periodici, 3 radio e 3 giornali online. Elkann è certamente un imprenditore avveduto, ha curato la fusione tra Fiat e Chrysler creando uno dei colossi globali dell’auto e ha portato la società finanziaria di famiglia (la Exor) all’impressionante fatturato di 144 miliardi di euro nel 2019. Per controllare La Repubblica e le altre testate del gruppo, Elkann ha speso 102 milioni e per la prima volta sembra non aver fatto un buon affare. Il gruppo Gedi, infatti, è in caduta libera. Nel 2019 ha chiuso il bilancio con una perdita di 129 milioni e nell’arco di pochi anni il suo valore in borsa è passato da 1,20 euro ad appena 28 centesimi per azione.

John Elkann è in buona compagnia, sembra infatti che tra i magnati d’Italia vi sia una certa passione per accumulare il possesso di quotidiani e riviste anche a costo di perderci una montagna di soldi. Anche Gaetano Caltagirone è uno che i conti li sa fare. Con il resto della sua famiglia possiede la Caltagirone Spa, colosso del cemento e dell’edilizia con bilanci da 1,5 miliardi di euro l’anno e interessi anche nel business dell’acqua e della finanza. E anche lui perde soldi solo in un settore, quello dell’editoria. Negli anni ha acquistato sei quotidiani – tutti nella sua zona di interesse economico, il centro-sud Italia – continuando a investirci nonostante i bilanci della divisione editoriale di famiglia siano una via crucis: perdite di 360 milioni di euro negli ultimi dieci anni con un solo bilancio chiuso in attivo dal 2008 a oggi. E poi c’è Antonio Angelucci: parlamentare di Forza Italia, re della sanità privata (oltre 3mila posti letto principalmente tra Lazio e Puglia) e collezionista di procedimenti giudiziari con accuse che vanno dalla truffa alla corruzione. Angelucci è un altro che a livello imprenditoriale non sbaglia un colpo, tranne quando si tratta di carta stampata. Possiede Libero, Il Riformista, Il Tempo e diversi altri giornali locali dell’Italia centrale, tutti con i conti perennemente in rosso. Da notare come Libero sia un quotidiano di area salviniana, mentre Il Riformista è politicamente vicino a Matteo Renzi, contando che è parlamentare di Forza Italia, Angelucci si è praticamente coperto le spalle con mezzo arco costituzionale.

Per quale ragione Elkann, Caltagirone e Angelucci perdono milioni senza battere ciglio quando si tratta di investire sull’informazione? Evidentemente il lato economico non è essenziale nel valutare l’importanza di possedere un giornale. A chi investe sui media sembra non importi molto di quante copie si vendono. Infatti queste sono ogni anno di meno. Avere dei giornali è però un ottimo modo per fare arrivare quotidianamente la lista delle proprie priorità sopra alle scrivanie che contano, per coltivare relazioni politiche, per avere accesso ai salotti tv e per comunicare con i milioni di follower che le testate hanno sui social. Provate a cercare sulla stampa di Elkann una riflessione critica sul prestito garantito dallo stato da 6,3 miliardi appena ottenuto da Fca, su quella di Caltagirone un’inchiesta sugli effetti idrogeologici della cementificazione, o sui giornali di Angelucci un articolo imparziale sulle malefatte di certe cliniche private. Difficilmente ci riuscirete. È questo il conflitto di interessi che ha infettato ormai irrimediabilmente il giornalismo italiano.

Questi giornali, che quotidianamente sono pieni di omissioni, distorsioni e approssimazioni sono gli stessi che troviamo attivissimi nella denuncia delle fake news. La nuova “emergenza” contro la quale i media ogni giorno ci mettono in guardia. Non che non sia un problema, sia chiaro: effettivamente ne girano una marea. Ma l’idea che queste siano da cercare solo su pagine Facebook e blog è falsa. Quello delle bufale costruite ad arte per orientare l’opinione pubblica è un genere giornalistico con ormai un secolo di storia. Negli Usa degli anni ’30 del secolo scorso veniva chiamato yellow journalism e venne inventato sui quotidiani del magnate William Hearst: titoli strillati, notizie ingigantite o del tutto inventate per portare avanti le battaglie politiche del capo, innanzitutto contro la cannabis (era il periodo in cui negli Usa iniziava il proibizionismo) e le minoranze etniche. Un secolo dopo non sono pochi i casi che potremmo definire di “yellow journalism” nel giornalismo di casa nostra.

Come per la graduatoria sulla libertà di stampa, il pericolo dell’informazione oltreché negli attacchi diretti, come le bufale, sta in quella terra di mezzo fatta di interessi privati, omissioni, autocensura e punti di vista parziali. Quello delle fake news è spesso un meccanismo grossolano, la maggior parte di quelle che girano sui social sono così grossolane da essere smascherabili con poche ricerche su internet. Chi le prende sul serio è solitamente uno che vuole crederci perché le trova funzionali a confermare il suo punto di vista, oppure ha evidenti deficit di alfabetizzazione funzionale e di comprensione delle basi logiche di un testo. E questo dovrebbe fare riflettere più sullo stato della nostra scuola pubblica che sull’informazione in sé.

Più pericoloso è il fenomeno che viene definito framing. Framing significa, letteralmente, “incorniciare”. Nel senso di scegliere un punto di vista anziché un altro per influenzare l’interpretazione di chi legge. È una strategia nota a tutti i pubblicitari e purtroppo anche ai direttori dei giornali. Ad esempio, nel raccontare la costruzione di un nuovo quartiere residenziale si possono utilizzare cornici molto diverse: si può mettere l’accento sulla cementificazione crescente della città e sui rischi ambientali connessi, si può metterne in dubbio la qualità estetica e il suo essere un eco-mostro rispetto alla realtà circostante, oppure si può utilizzare come frame l’importanza dell’opera per lo sviluppo e l’economia del territorio. Quale chiave di lettura saranno portati a utilizzare i giornali di proprietà del palazzinaro Gaetano Caltagirone? Certamente l’ultima, almeno quando si tratta di opere per le quali il capo ha ottenuto l’appalto, mentre se il lavoro gli è stato soffiato dalla concorrenza l’occhio si farà più critico. È questo, nella sua essenza, il conflitto di interessi. L’avversario numero uno di un’informazione libera e al servizio dei cittadini.

ARTICOLO COMPLETO SU: https://www.dolcevitaonline.it/censura-e-conflitto-di-interessi-i-virus-del-giornalismo-italiano/

 

Fonte: La Voce di Vicenza.

 

Conoscere i semi di cannabis: preziosi per il benessere.

Ogni giorno una nuova “ricetta miracolosa” sopraggiunge per rassicurare le persone sul fatto che è possibile curare ogni genere di malessere. Alla fine dei conti però la risposta più ovvia è sempre la stessa: affidarsi alla natura.

In che modo? Non c’è bisogno di essere geni, basta ricondurre la mente a quelle che sono sempre state le scelte basilari dell’essere umano. Nel frattempo, non c’è niente di male nell’approfondire certi temi e avvicinarsi alle scoperte scientifiche.

Ulteriori sforzi potrebbero essere evitati tranquillamente. Il benessere dipende più che altro dalle proprie passioni e dalla curiosità che induce a capire come soddisfare in maniera sana esigenze e priorità psicofisiche.

Ci sono persone che amano il collezionismo e questo basta a farli sentire a proprio agio nel quotidiano. Così vanno alla ricerca dei migliori semi di marijuana online, cercano di capire come riconoscerli e di sapere come fare per conservarli.

Una valvola di sfogo che nutre anima e corpo.

Altre persone li utilizzano per nutrire innanzitutto il proprio corpo. Le convinzioni di ciascuno in questo caso giocano un ruolo fondamentale, a volte sono un bagaglio pesante, altre volte conducono a fare le scelte più opportune.

Per chi fosse alla ricerca di risposte confermate dalla scienza (o comunque dalla maggior parte dei ricercatori) è possibile capire in pochi minuti se i semi di marijuana valgono la loro reputazione di superalimento.

Cosa si dice nell’ambito scientifico.

Quando si parla di semi di marijuana tutte le ricerche mostrano almeno un risultato comune: sono immensamente ricchi di nutrienti preziosi.

Si può dire con serenità che sono all’altezza della loro reputazione.

Quindi, è bene sottolineare che secondo la legislazione italiana è possibile comprare semi di cannabis ma non portarli a germinare. Le sostanze non consentite dalla legge, infatti, non si trovano nei semi ma nelle piante.

(…)

Leggi l’articolo completo su: https://www.lavocedivenezia.it/conoscere-i-semi-di-cannabis-preziosi-per-il-benessere/

I “professionisti dell’informazione colpiscono ancora.

Ennesima FAKENEWS!!

Questo è quanto riporta l’articolo. Privo di qualsivoglia informazione, ma con un colpevole già sicuro, la Cannabis.

E comunque questo non dimostrerebbe altro che la Cannabis non ha dose letale e non può uccidere nemmeno un neonato.

Ma trattandosi di una bufala, semplicemente: fate pena.

Fonte: altalex.com (link in fondo)

Cannabis Sativa L, riconosciuto lo status di pianta officinale.

Il decreto Mipaaf del 23 luglio 2020 menziona la “canapa sativa infiorescenza” a usi estrattivi tra le piante officinali assicurabili al mercato agevolato o ai fondi di mutualizzazione 2020.

A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 75/2018, il settore canapicolo aveva chiesto a più riprese l’inclusione della cannabis sativa L., in tutte le sue parti, tra le piante officinali quale naturale collocazione di una pianta caratterizzata per le note proprietà benefiche.

Già lo scorso novembre, ad onor del vero, una risoluzione della Commissione Agricoltura aveva impegnato il governo a provvedere in tal senso.

Con D.M. del 23.07.2020 (testo in calce), pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 19.08.2020, il Ministero dell’Agricoltura ha menzionato la “canapa sativa infiorescenza” destinata ad “usi estrattivi” tra le piante officinali stabilendone altresì il prezzo unitario massimo applicabile per la determinazione dei valori assicurabili al mercato agevolato e per l’adesione ai fondi di mutualizzazione nell’anno 2020.  Quali saranno le conseguenze di tale provvedimento?

A parere dello scrivente le conseguenze sono di estrema rilevanza soprattutto se valutate in un contesto più ampio, di cui ho avuto occasione di trattare più volte in passato, circa lo status giuridico della canapa sativa L. e delle infiorescenze in particolare.

Occorre infatti rilevare come lo stesso D.Lgs. n. 75/2018, da un lato, aveva previsto che con successivo decreto si sarebbe dovuto provvedere ad aggiornare l’elenco delle piante officinali sulla scorta del lavoro del tavolo tecnico, da tempo già istituito.

Dall’altro, aveva altresì previsto che le sostanze stupefacenti di cui al DPR 309/1990 sarebbero comunque state escluse dal novero delle piante officinali.

Da ciò discende una fondamentale considerazione: il Ministero ha inserito le infiorescenze di canapa tra le piante officinali per le sue note proprietà ritenendo – evidentemente – come essa non costituisca una sostanza stupefacente.

Non a caso l’art. 1, c. 2, del D.Lgs. n. 75/2018 stabilisce che “Le piante officinali comprendono altresì alcune specie vegetali che in considerazione delle loro proprietà e delle loro caratteristiche funzionali possono essere impiegate, anche in seguito a trasformazione, nelle categorie di prodotti per le quali ciò è consentito dalla normativa di settore, previa verifica del rispetto dei requisiti di conformità richiesti”

Sul punto occorre sottolineare come l’art. 26 già prevedeva una eccezione al generale divieto di coltivazione della cannabis, ossia per la produzione di semi e fibre e per le altre applicazioni industriali (ossia quelle previste dalla normativa comunitaria o, come in questo caso, da specifiche normative di settore).

Per quanto attiene ad eventuali (e prevedibili) ipotesi di conflitto con la normativa sugli stupefacenti, vengono in soccorso (oltre che il generale criterio di specialità) le “note alle premesse” contenute nel medesimo D.Lgs. n. 75/2018, ove è chiaramente specificato che:

I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

… CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO SU: https://www.altalex.com/documents/news/2020/09/21/cannabis-sativa-l-riconosciuto-status-di-pianta-officinale

Da quando ha iniziato ad utilizzare la cannabis terapeutica, ha seguito circa 3mila pazienti. Parliamo del dottor Marco Bertolotto, primario del reparto di cure palliative presso l’Ospedale di Albenga e Pietra Ligure, tra i primi in Italia a proporre ai suoi pazienti questo tipo di cure e che oggi è un riferimento a livello nazionale.

Da anni cura una sua rubrica sulle pagine di Dolce Vita e più recentemente ha iniziato a raccontare le proprietà mediche di questa pianta anche in video, con casi di pazienti e studi scientifici. L’ultimo progetto che lo vede coinvolto è quello di Clinn, che sta per Clinic Innovation ed è un centro di medicina integrata nato a Milano per proporre terapie personalizzate ai pazienti. “Quello che abbiamo capito è che la cannabis è importante, ma bisogna personalizzare la terapia e anche lo stile di vita, accompagnando le cure con una corretta alimentazione e uno stile di vita sano”.

Quanti pazienti segue?
Da quando ho iniziato ne avrò seguiti più di 3mila. Ogni settimana vedo almeno 30 pazienti nuovi, e solo perché mi do dei limiti, seguendone una parte in ospedale e una parte come libero professionista.

Partiamo da una panoramica sulla cannabis terapeutica oggi.
Nel 2015, anno in cui è partito tutto il settore, nonostante la cannabis in medicina in Italia fosse legale già da tempo, pensavamo ad una evoluzione molto più rapida. Invece abbiamo fatto poca strada: sicuramente è aumentato il numero dei pazienti e inizia ad aumentare il numero dei medici che guardano con interesse a questa pianta, ma dal punto di vista delle azioni di governo e delle istituzioni, siamo davvero fermi. Al di là del momento particolare che stiamo vivendo è davvero un peccato, abbiamo una legge tra le più avanzate al mondo che se fosse applicata con attenzione ci permetterebbe di dare risposte concrete ai pazienti, facendo le cose semplici e cioè aumentando la produzione e mettendola a carico del sistema sanitario nazionale.

di Dolce Vita Magazine

Dolce Vita Magazine (link articolo completo in fondo)

Di questi tempi si parla molto di salute, giusto? Non è vero!
Di questi tempi, nei dibattiti e bollettini sanitari veicolati dai mass media, si parla di malattia! Si parla di virus, di contagi, di epidemia, di pandemia… si usa la metafora della guerra per dire che stiamo combattendo contro il nemico-virus. E le armi che abbiamo a disposizione sono barriere fisiche come le mascherine, il distanziamento sociale, l’isolamento, la “sanificazione” degli ambienti, le disinfezioni assidue, i lavaggi delle mani, fino ad arrivare poi a quello che molti vedono come la “protezione suprema”, il vaccino.

Il virus della paura iniettato dalla comunicazione: quali sono gli effetti?

Osserviamo in modo curioso questo fenomeno dal punto di vista della comunicazione, e degli effetti che sappiamo – da sempre – la comunicazione ha sugli esseri umani. Riconosciamo la comunicazione che evoca emozioni di paura, e l’accento oggi è messo su questo. E la paura stimola il rilascio di ormoni che, alla lunga, debilita il nostro sistema immunitario.

Siamo andate alla ricerca della definizione di salute data nel 1948 dall’OMS, e abbiamo visto che, come è giusto che sia, questa considera l’essere umano da un punto di vista olistico (un’unità di corpo-emozioni-mente): “La salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplicemente l’assenza di uno stato di malattia o infermità.”

Noi sappiamo che ogni donna e uomo dà il meglio di sé (ed è in grado di superare qualsiasi avversità esterna)  quando sente di avere un potere personale. Quando si sente protagonista della propria vita, quando percepisce di avere un certo grado di controllo attivo sull’ambiente esterno e soprattutto su di sé, sulle proprie risorse interne.
Al contrario, dà il peggio di sé quando si sente vittima di qualcosa di esterno, o impotente. Quando è in preda alla paura, o all’angoscia, o all’incertezza prolungata. La pro-attività è la base fondante della resilienza.

Sistema immunitario: “l’arma” dimenticata

Tornado al dibattito sui mezzi di comunicazione di massa quello che ci colpisce è la quasi totale assenza, a parte alcune rare voci a cui non viene data grande rilevanza, di approfondimenti che riguardano il come occuparsi in maniera attiva di rafforzare il proprio sistema immunitario, il nostro primo sistema di difesa contro le malattie.
Anziché mettere l’accento sulla nostra possibilità di essere e mantenerci sani viene invece piantato nelle nostre teste il virus della paura, del dubbio (il più forte tra tutti i virus!)
Un esempio su tutti: la potente frase di “magia nera comunicativa” pronunciata da Roberto Burioni: “Tutti dovremmo considerarci malati, potenzialmente infetti”.
L’invito che riceviamo, a livello di massa, è quello di restare nella paura.
Non potremo considerarci tranquilli fino a quando non avremo il vaccino”. Ecco un’altra esortazione ad abdicare al nostro potere personale, e delegare a un avvenimento esterno la nostra sensazione di sicurezza o la mancanza di essa.
Siamo incoraggiati, a livello di massa, a chiedere alle mascherine, ai disinfettanti, alla distanza e più in generale ai farmaci, ai medici, al sistema sanitario di sostituirsi a noi e a quello che invece possiamo attivamente fare per mantenere l’efficienza del nostro sistema immunitario.
Questo è il modo in cui resteremo sempre in uno stato di “addormentati in vita”, impotenti, vittime.

ARTICOLO COMPLETO SU: https://www.dolcevitaonline.it/potenziare-il-sistema-immunitario-difendersi-dai-virus/

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