La Corte Costituzionale boccia il quesito sul referendum Cannabis – Le mafie ringraziano

Ieri la Corte Costituzionale ha dichiarato NON AMMISSIBILE il quesito del #ReferendumCannabis.

Questa non è una sconfitta nostra e delle centinaia di migliaia di cittadini e cittadine che hanno firmato per la cannabis legale.
Quella di oggi prima di tutto è una sconfitta per le Istituzioni che non sono più in grado di comprendere una parte importante di questo Paese!
È il fallimento di una Corte che non riesce a garantire agli italiani un diritto costituzionale, di un Parlamento che da trent’anni non riesce a mandare in fumo gli affari delle mafie.
È il fallimento anche di Istituzioni come la Presidenza della Camera che aveva preso l’impegno di calendarizzare le proposte di legge di iniziativa popolare, anche quella sulla cannabis.
È la sconfitta per quei partiti che hanno parlato di cannabis legale in campagna elettorale dimenticandosene subito dopo.
A vincere oggi è soltanto la mafia….
Adesso ci prenderemo qualche giorno per capire come rilanciare la battaglia per la cannabis legale e vi facciamo una promessa: noi non ci fermeremo neanche questa volta!
In queste prime ore dopo la risposta della Corte ci sono arrivate un sacco di domande sul quesito referendario e proveremo a rispondere a tutte.
Il quesito referendario toccava tre punti del Testo Unico sugli stupefacenti: l’articolo 73 comma 1 (che rimuoveva la parola “coltiva”), l’articolo 73 comma 4 (che rimuoveva le pene detentive da 2 a 6 anni, oggi previste per le condotte legate alla cannabis) e l’articolo 75 comma 1 (che rimuoveva la sanzione amministrativa del ritiro della patente).
Le argomentazioni della Corte hanno riguardato solo il primo punto.
Il Presidente della Corte Giuliano Amato ha sottolineato come il comma 1 dell’articolo 73 faccia riferimento alle tabelle 1 e 3 delle sostanze stupefacenti, che non includono la cannabis, che si trova nella tabella 2. Facendo intendere che questo sia avvenuto per un errore materiale.
COSÌ NON È!
Infatti il comma 4 (in cui è presente la cannabis) richiama testualmente le condotte del comma 1, tra le quali è compresa proprio quella della coltivazione.
Appare evidente che i due commi vanno interpretati insieme.
In altre parole abbiamo dovuto fare riferimento al comma 1 perché non si poteva fare altrimenti per decriminalizzare la coltivazione di cannabis, dal momento che i due commi sono legati.
In ogni caso, questa modifica non avrebbe comportato automaticamente la libera produzione di ogni tipo di sostanza.

La parola “coltiva” fa riferimento alle piante: l’unica pianta che è possibile consumare come stupefacente è la cannabis.
Si possono coltivare – certo con grandi difficoltà e in determinate regioni del mondo – papavero e coca ma per consumarle come stupefacenti occorre trasformarle: la “produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione” sarebbero rimaste punite nel comma 1 del 73.
Questo non avrebbe comportato alcuna violazione degli obblighi internazionali.
La scelta di eliminare il solo termine «coltiva» dimostra la nostra intenzione di decriminalizzare soltanto la coltivazione della cannabis, lasciando punite le successive fasi necessarie per consumare le altre sostanze come oppio e coca.
Sfortunatamente la pronuncia della Corte è inappellabile ma questo quesito era l’unico modo immaginabile per provare a cambiare le leggi che vietano la coltivazione della cannabis.
La bocciatura di un quesito sottoscritto da oltre mezzo milione di cittadini è prima di tutto un fallimento per le istituzioni che non riescono a rispondere al Paese.
La nostra battaglia non si fermerà certo oggi.
ANTONELLA SOLDO FA CHIAREZZA SUL REFERENDUM
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